Descrizione
I Mutanti
Sono molti gli artisti che si sono pensati o sono stati considerati come profeti, annunciando attraverso le loro opere un mondo a venire. I cinque artisti oggi riuniti dall’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici sono dei mutanti, il che è un po’ diverso: le loro opere incarnano un mondo di cui ancora non sappiamo molto, se non che la stabilità delle identità non potrebbe più esservi definitiva. Certamente, le storie personali di Adel Abdessemed, di Stephen Dean, di Ellen Gallagher, di Adrian Paci e di Djamel Tatah evidenziano immediatamente che essi provengono da storie complesse. Appartengono pienamente ad un’epoca in cui le identità individuali degli abitanti del mondo occidentale si costruiscono attraverso le migrazioni, le situazioni coloniali e post-coloniali, senza che si possa più parlare di integrazione o di assimilazione, bensì di ibridazioni; in altre parole, di traslazioni reciproche senza una gerarchia predeterminata. Essi sono plurinazionali, plurietnici o multiculturali, a volte tutte queste cose insieme, senza che queste pluralità si annientino all’interno di una comunità idealizzata né cancellino storie e passati differenziati per affogarli in un calderone indeterminato. La pittura di Djamel Tatah si confronta con ciò che chiamiamo tradizione. Tuttavia la tradizione non è un qualcosa di esterno, è al contrario qualcosa di appropriato e trasformabile. Ciò non è soltanto vero da un punto di vista materiale, materiologico, lo è anche in termini di ambizione: con quale tradizione è opportuno misurarsi, di quale tradizione servirsi (indirizzo e strategia)? Vi è certo una relazione evidente – a esempio l’influenzarsi, se trasformiamo in attivo questo verbo passivo – con la tradizione modernista del dopoguerra e segnatamente con quella pittura americana dell’espressionismo astratto e del suo seguito. Per dirla alla svelta e riallacciarsi ai paragoni che rapidamente compaiono nei commenti sull’artista, vi è un forte legame tra Djamel Tatah e Barnett Newman o la pittura americana astratta caratterizzata da vasti campi monocromi (come quella praticata da Ellsworth Kelly). Una lettura rapida e semplificatrice potrebbe lasciar credere che: Tatah = Newman + arabitudine (personaggi vestiti di nero, identità di alcuni modelli spesso molto riconoscibili). Come se avessimo da un lato la grande tradizione occidentale, a un tempo origine e meta, e dall’altro il piccolo o grande di-più della identità etnica post-coloniale.
Djamel Tatah || L' Artista
Djamel Tatah è nato a Saint-Chamond, in Francia, e attualmente vive e lavora a Parigi. Tatah lavora principalmente con la fotografia e la pittura a encausto. Attraverso questi media riduce i suoi soggetti a ombre di ciò che erano precedentemente. Egli si concentra sui gesti e le espressioni di figure umane isolate e fortemente stilizzate, il che enfatizza la loro condizione all’interno di un mondo apparentemente solitario. Il suo lavoro affronta temi legati allo stato sublime del reale e dell’immaginario e al ruolo della tradizione e del cambiamento nell’epoca della globalizzazione.
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