Descrizione
I Mutanti
Sono molti gli artisti che si sono pensati o sono stati considerati come profeti, annunciando attraverso le loro opere un mondo a venire. I cinque artisti oggi riuniti dall’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici sono dei mutanti, il che è un po’ diverso: le loro opere incarnano un mondo di cui ancora non sappiamo molto, se non che la stabilità delle identità non potrebbe più esservi definitiva. Certamente, le storie personali di Adel Abdessemed, di Stephen Dean, di Ellen Gallagher, di Adrian Paci e di Djamel Tatah evidenziano immediatamente che essi provengono da storie complesse. Appartengono pienamente ad un’epoca in cui le identità individuali degli abitanti del mondo occidentale si costruiscono attraverso le migrazioni, le situazioni coloniali e post-coloniali, senza che si possa più parlare di integrazione o di assimilazione, bensì di ibridazioni; in altre parole, di traslazioni reciproche senza una gerarchia predeterminata. Essi sono plurinazionali, plurietnici o multiculturali, a volte tutte queste cose insieme, senza che queste pluralità si annientino all’interno di una comunità idealizzata né cancellino storie e passati differenziati per affogarli in un calderone indeterminato. È sorprendente quanto spesso si tenda a riferire le opere ai rispettivi autori, come se il loro valore derivasse dalla presunta capacità di riflettere una situazione realmente vissuta. Personalmente, non credo affatto che le opere di Adrian Paci siano interessanti o ci tocchino di più perché “vere”, o perché documentano l’esistente. L’artista l’ha sottolineato bene in Vajtojca (2002): un uomo (l’artista) arriva in casa, si cambia, saluta una donna, si stende su un letto, chiude gli occhi e incrocia le mani sul petto, mentre la donna si copre la testa con un velo e inizia a salmodiare, adempiendo al suo ruolo di prefica dopo di che l’uomo si alza, la saluta, e se ne va, al suono di una vivace musichetta. Il film nel suo insieme decostruisce la funzione documentaristica, satura di albanesità, e fa pensare piuttosto a un parallelo italiano, quello dei film falsamente autobiografici di Nanni Moretti. Se Vajtojca pone dunque la questione dell’identità, ciò avviene all’interno dell’opera che funge da specchio, ma non di quelli che rinviano un’unica immagine possibile, e dunque vera, del mondo. Si tratta, piuttosto, di uno specchio frammentato, come quello dell’opera per speculum (2006), in cui sembra di vedere un tutto omogeneo, finché un bambino – o qualcun altro – non lo rompe, mostrando così che si tratta di una realtà fittizia. Continuando a scorrere le immagini del film, l’identità delle cose e degli esseri viene catturata da quella sorta di specchio che è l’opera, ma solo per essere sottoposta a diverse manipolazioni, più o meno percettibili: rappresentazione, reinterpretazione, estrapolazione e frammentazione, scomposizione, diffrazione, oscuramento o illuminazione, ecc.
Adrian Paci || L' Artista
Adrian Paci è nato a Shkoder, in Albania, e attualmente vive a Milano. Il suo lavoro affronta i radicali mutamenti politici del suo Paese e le sue esperienze come esule, ridefinendo con la sua visione artistica e la sua voce la portata di tali esperienze sia in patria che all’estero. Le sue opere riflettono la vita pubblica e privata nel tentativo di comprendere in che direzione procediamo nel mondo di oggi, e tentano di definire in che modo l’identità è plasmata e condizionata dalla globalizzazione e dal multiculturalismo.
Stampato in Italia

Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.