Un'intervista con il fotografo Tedesco durante la sua mostra "Tales from the Other Side" alla Galleria Interzone di Roma
Di Jack Solloway
Laddove molti artisti confondono la propria influenza estetica per impatto politico, Miron Zownir dal canto suo rifiuta drasticamente di sottovalutare l’apatia sempre più diffusa. ‘Tales from the Other Side’, la mostra personale di Zownir alla Galleria Interzone di Roma, presenta una retrospettiva stupefacente della carriera dell’artista che, fotografando numerose culture underground delle metropoli occidentali come il fenomeno punk nella Berlino negli anni ’70 e la scena gay di New York negli anni ’80, documenta le diversità e le peculiarità delle minoranze della città. Il suo rifiuto di partecipare al circolo mediatico e il suo approccio sincero nel fotografare il volto sommerso della società rimane sempre pertinente, anche nella difesa della soggettività radicale.
Zownir è sicuro di avere una cosa diritta: “Io non sono principalmente un fotografo; più che altro mi conoscono come tale. Questa è una grande differenza”. La sua affermazione che la sua “passione è piuttosto nella scrittura, nella cinematografia e nella fotografia” lascia spazio a diversi dubbi. “Fino ad ora stavo scrivendo in tedesco,” spiega Zownir, “quindi praticamente tu non ne saresti venuto a conoscenza. Come avresti potuto? Certo, la fotografia è un linguaggio universale, ma posso mostrarti qualcosa proprio adesso”. Tira quindi fuori il telefono e mi fa ascoltare una sua poesia. Dal titolo “Convince Me” (da un album eseguito da Mona Mur che sta per essere pubblicato), il poema beat di Zownir si apre con un suono sintetico e un ritmo costante. “A me non importa e a te non interessa” comincia la traccia, “se domani un’altra celebrità muore o vince un Oscar a Hollywood”.
A 64 anni, Zownir non ha interesse a diventare “parte del meccanismo dell’intrattenimento”. Quando gli chiediamo cosa lo spinge a continuare nell’esplorazione degli ambienti urbani, candidamente respinge l’affermazione che lui “pensi a qualsiasi tipo di esposizione”. “io mi interesso in quello che vedo “, dice Zownir,” non penso ad una mostra in galleria, né a una pubblicazione su una rivista o su un libro”. Invece descrive la sua fotografia come una “questione di intuizione e talvolta di conoscenza”, concedendo che qualunque essa sia “dipende interamente da quanto sei vicino”. Ed è giusto affermare che Zownir è stato particolarmente vicino agli argomenti trattati. Nei viaggi in luoghi come l’Ucraina del 2012 le sue fotografie testimoniano un paese sull’orlo della rivoluzione politica. Non sorprende quindi che la sua esperienza di vivere e lavorare in questi luoghi sia spesso precaria “può accadere che qualcuno cerchi di derubarmi, o spararmi o cose di questo genere. Per loro sono un bersaglio ricco – ma naturalmente, sai, la realtà è diversa”. Ride, scrollando le spalle al pensiero del rischio.


Scattate esclusivamente in bianco e nero, le fotografie monocromatiche di Zownir sono senza compromessi nella loro onestà. Molte delle sue fotografie forniscono una spiegazione di “l’altra faccia della realtà, quella che viene generalmente ignorata [dai media]”. Parlando di “Berlino, 1980” presente nel volume The Street is Watching, Zownir descrive serenamente come è stata realizzata l’opera. “Beh, ero in un club punk e ho sentito qualcuno fare sesso. Mi sono arrampicato, perché non c’era un tetto: era un gabinetto con le mura che finivano qui (fa il gesto), e il tetto era qui. La ragazza, ovviamente, non si dispiacque e il ragazzo non se ne accorse”. Ride ancora, questa volta riconoscendo la peculiarità della situazione. “Mi piace l’imprevedibilità della fotografia […]”, continua Zownir, “ma non sempre funziona. A volte ritrai una situazione, ma sai che è sbagliato, la persona sa di essere ritratta e lo scatto appare reale come se il soggetto non percepisse la tua presenza”.
Ci si chiede, data l’intimità del suo lavoro, se sia più facile chiedere perdono o autorizzazione per una foto come “Berlino, 1980”. “Non chiederei perdono a nessuno”, dice Zownir, “per quale motivo? Se ti aggredissi senza alcuna ragione, naturalmente mi scuserei, ma sarebbe comunque troppo tardi. Vedete, l’atteggiamento delle persone è cambiato”. Vi faccio un esempio “, Zownir si mette in piedi e costruisce lo scenario: “Ero a Leeds e camminando in un quartiere ho avuto l’impulso di fare la pipì. Quindi sono andato dietro il cespuglio”, (si gira di spalle come se stesse recitando), “e ho fatto quello che dovevo fare. Portavo al collo la mia macchina fotografica come questa; poi sono tornato sulla strada, e un fottuto ragazzo mi fa “mi hai fatto una foto?” Ho detto: “Cosa?” “Hai fatto una foto?” “Zownir fa una pausa. “Parli della mia macchina fotografica? Di me? Sto passeggiando per una cazzo strada e mi chiedi se ti ho fatto una fottuta foto? Ho una macchina fotografica e pensano che abbia un Kalashnikov. “Questa reazione, secondo Zownir, è sintomatica di un nuovo tipo di atteggiamento: “l’aspettativa [che una foto] apparirà immediatamente su Internet; [cosa che spaventa o eccita le persone]”.
Nonostante si definisca “cacciatore in cerca di cose”, Zownir nega che ci sia qualcosa che minacci l’obiettivo (un “punta e spara”, ad esempio). “No, l’obiettivo non stava minacciando nessuno prima. È come ho detto: la gente vuole essere famosa e questo è il loro momento di attenzione. Amano l’atteggiamento delle celebrità. Lo copiano, perché sembra fico non voler essere fotografati, – l’atteggiamento della gente è cambiato molto. Per la maggior parte del tempo ho la sensazione che non siano persone vere quelle che camminano in giro, ma zombie influenzati dalla TV e da qualunque cosa pensano possa glorificarli”.
“Se parliamo davvero delle persone a cui faccio le foto,” Zownir ritorna al suo lavoro, “vedi che era un mondo diverso. Le persone erano coinvolte in uno stile di vita alternativo quando il concetto di alternativo non era ancora stato sdoganato. Ora sei alternativo: cosa significa? Niente. Ma poi c’era la liberazione gay, la liberazione transgender; c’era molta speranza e molto spirito comunitario. Ora non c’è più questa condivisione, lo sento, perché sono tutti bloccati nel proprio universo digitale. La sua frustrazione che” niente accade più in maniera endemica” testimonia questo fatto. “Punk, Beat, tutti quei movimenti erano endemici; ma adesso sono tutti prefabbricati. Non appena hai qualcosa da dire e la gente ascolta, le tue parole verranno immediatamente strumentalizzate” Evitando in larga misura i social media, Zownir invece preferisce lavorare “con gli stessi strumenti di sempre: analogici, in bianco e nero; Scrivo ancora le mie poesie con una penna; Non sono su Instagram; uso Facebook solo per rendermi conto di alcune cose che stanno accadendo, ma questo è quanto, nulla più”.


Sia che provochi il pubblico, sia che lo incoraggi a connettersi con i margini della società, Zownir insiste sul fatto che il suo approccio è fondamentalmente empatico quanto istintivo o predatorio. “Se mi connetto con le sottoculture, devo dire che ho empatia per queste. Se mi metto in connessione con persone che muoiono sulla strada, o vivono in povertà e miseria, puoi dire che ho empatia per questo. È difficile fare una dichiarazione generale, […] ma sono sicuramente testimone di diversi decenni e movimenti diversi. Penso di essermi spinto fino a dove pochi sono arrivati, e credo di aver influenzato molte persone con il mio modo diretto di comunicare. Ma sono sempre stato assolutamente e radicalmente soggettivo. E’stato molto naturale per me iniziare a fare quello ho fatto.
Soprannominato “Il poeta della fotografia radicale” dallo scrittore americano Terry Southern, Zownir si confronta con l’apatia del suo pubblico attraverso un sguardo senza compromessi. Quindi, come reagisce all’etichetta “Ambasciatore delle Comunità Marginalizzate”? Per questo, forse bisogna fare fede alla sua poesia, che termina con un avviso finale: “Non aspettatevi più di quanto io vi possa dare”.