Un'intervista con l'artista Svizzera a seguito delle sue "Oeuvres Photographiques" pubblicato da Drago
Di Jack Solloway
Vestita con una tuta spaziale argentata, Mauren Brodbeck si accomoda avvolta nei fumi del ghiaccio secco sul letto della sua stanza d’albergo. La stanza è illuminata artificialmente con dei LED verde giada e al centro si trova un letto matrimoniale. Sopra la testiera vengono proiettati dei flashback degli anni ’80. “Per favore accendi il tuo raggio magico”, canta Brodbeck, “Mr. Sandman, portami un sogno”. A differenza delle armonie di gruppo di The Chordette del 1954, la performance solista di Brodbeck sonda con ansia il senso di alienazione del testo:” Mr. Sandman, sono così solo, / Non ho nessuno che possa chiamare mio”. In chiusura di scena, Brodbeck si toglie la tuta spaziale. La stanza del motel sembra momentaneamente di nuovo un’installazione. Al di fuori dell’installazione, il pubblico guarda l’artista che si cambia.
“Ci stiamo davvero interrogando su cosa ci è stato dato?”, Chiede Brodbeck. “Io non la penso così. Almeno, pochissime persone lo fanno”. Nata a Ginevra nel 1974, Mauren Brodbeck ha cercato, nel corso della sua carriera, di abbattere le categorie di rappresentazione. Come artista multisensoriale che combina arte visiva, soundscaping e performance, il suo lavoro spesso trasgredisce i confini generici. “Non credo che possiamo essere solo una cosa”, dice Brodbeck. Credo che ogni essere umano sia così tante cose diverse. Quindi mi piace questa idea multiforme di essere così vasta e in grado di espandermi. Anche tu ti puoi espandere”, aggiunge Brodbeck. Che sia un riferimento a se stessa o un’istruzione al suo pubblico, il commento di Brodbeck sembra offrire qualcosa come un invito: “Mi piace l’universo coinvolgente, in cui la persona che viene alla mostra può davvero immergersi, può ritrovarsi nell’installazione”.

Creata inizialmente nel 2003 come serie fotografica, Brodbeck nel 2016 ha ambientato la sua ricostruzione di Mood Motel negli alloggi interni di un circuito di motel di Hollywood. “Ho realizzato una serie fotografica che racconta davvero l’identità”, spiega Brodbeck, “perché il concetto di motel è così presente nella nostra cultura, da quella cinematografica fino a quella narrativa, passando per la vita quotidiana del popolo americano”.Nella serie Brodbeck replica la propria immagine per dare vita a più personaggi: “Sono faccia a faccia con l’altro”, afferma l’artista, “mi sdoppio in quelle immagini per creare una storia”. Mood Motel è “davvero una sintesi dell’esperienza della stanza”, aggiunge. “Ho creato un’installazione fisica di un vuoto o non luogo in cui tutto è possibile, in cui ogni persona che viene alla mostra può ritrovarsi nell’installazione. Qui puoi ricominciare. Puoi vivere qualcosa di diverso, puoi crearti una nuova identità, confrontarti con la tua persona e la tua stessa vita. C’è qualcosa di liberatorio nel sapere che puoi guidare da qualche parte e trovare un motel,” dice Brodbeck. Forse questo ci incoraggia a percepire noi stessi con una libertà simile, vista la prospettiva di una strada aperta.
Come i motel di Hollywood, il Mood Motel di Brodbeck è ambientato tra luoghi e stati, “quasi in un limbo”. Il suo personaggio dell’astronauta, un estraneo nella scena, entra nell’American Dreamscape solo per trovarlo vuoto. “Hai spazio interiore e spazio esterno”, spiega Brodbeck. “Sto mostrando il mio mondo interiore in questi posti. Questa sensazione che ho, come molte altre persone, di alienazione in questa società – a volte ci si chiede come ci si sia adattati e cosa stia succedendo davvero. Siamo troppo concentrati sull’automazione delle nostre vite, mentre noi siamo molto più di questo”. Per Brodbeck la costruzione di un “universo immersivo” riguarda la creazione di un “luogo di consapevolezza” che ci allontana dai rituali della nostra vita quotidiana. “Siamo tutti uno spazio esterno in un modo strano”, dice Brodbeck. “Io lavoro con schemi e rituali e, anche in musica, con esempi e immagini: ripetizione di volti, di colori e di forme. Quando ci pensi veramente, le cose sono tutte costruite su modelli. L’automazione della nostra vita è la stessa. Ti svegli al mattino, vai al lavoro. Hai schemi e rituali. Quando questo ti disturba e ti fermi a rifletterci, ecco che esplode. Allora ti senti davvero come se fossi in un limbo, ossia da nessuna parte”. Brodbeck ride, mantenendo il suo tocco leggero.
La rottura delle nozioni d’identità precostituite è al centro del lavoro di Brodbeck. Nel libro Oeuvres Photographiques, pubblicato da Drago, Michèle Auer della Auer Photo Foundation descrive l’ effetto di questa ricerca come “un inquietante labirinto di identità che usa i volti come punti di riferimento piuttosto vaghi, e gli edifici come attracchi definitivi”. Usando tecniche progettate per disorientare lo spettatore, le serie fotografiche di Brodbeck Extra Coated e Urbanscapes and Cityscapes usano entrambi il color-blocking e la cancellazione per “disturbare” lo spettatore nell’osservazione dell’ambiente circostante. Come nel caso di Mood Motel, il pubblico deve superare un ambiente che trasforma il banale in qualcosa di ultraterreno. “Basta seguire il filo”, scrive Auer. “Il colore è lì. Dice tutto”.
Dove il colore gioca un ruolo così importante nel suo lavoro, Brodbeck riconosce l’influenza della Pop art e l’approccio ironico del movimento verso il consumismo. Caramelle luminose e di consistenza gelatinosa, fotografie come la ciambella Hell Yes sembrano quasi buone da mangiare: “Chiamala Pop art retrò. Arte post-pop. Popsicle. Extra Coated è come la ciliegina sulla torta, lo smalto che si può graffiare facilmente. Tutti questi luoghi turistici [nella serie] erano luoghi in cui accadevano cose veramente brutte. Ora la gente vuole vederli come simbolo di grandezza. Penso che portare umorismo in questo sia un buon modo per creare un po’ di disturbo. La ciambella mi sembra una buona forma per rappresentare qualcosa degli Stati Uniti”.
Mentre la scena si chiude sulla performance di Mood Motel di Brodbeck, l’artista svizzera fa una pausa per prendere qualcosa sul letto. Sceglie una croccante e lo mette in bocca. “L’ordinario è sconcertante”, ha scritto Brodbeck, “tutti i miei lavori iniziano da quell’angolo di visuale”. Guardando il film Mood Motel si ricorda lo spettacolo teatrale di David Bowie, Lazarus, anch’esso debuttato lo scorso anno. David Bowie ha influenzato il suo lavoro? “Sì, molto. Amo il suo stile. È conosciuto soprattutto come musicista, ma il suo universo era completamente multisensoriale. Ha giocato con le personalità, lo faccio anche io. Sono totalmente influenzata dagli anni ’80. Non so se è il periodo peggiore o il periodo migliore. È troppo, vero?

“Aspettando il dono del suono e della visione,” canta Bowie, “Blu, blu, blu elettrico. È il colore della mia stanza”. Alla domanda su quale sarebbe stato il colore della sua stanza, Brodbeck si ferma a riflettere un momento. Guarda il soffitto e sorride. “Ottimo, perché ora penso a questo blu, mi piace davvero. È così… elettrico. Vorrei virare verde – verde acqua”.
Verde, verde, verde acqua. Questo è il colore della stanza di Brodbeck.
Graze per avere parlato con noi, Mauren.
ŒUVRES PHOTOGRAPHIQUES / PHOTOGRAPHIC WORKS: 2004-2014
- Autore: Mauren Brodbeck
- Formato: Copertina
- Pagine: 170
- Data di pubblicazione: 2014
- Lingua: Inglese